La sicurezza in un parco acquatico è una cosa complessa. Non si ha la mutazione e lo sconfinato orizzonte del mare ma non si ha la pericolosa staticità della piscina. E’ un ambiente diverso che merita una progettazione del salvataggio e della sorveglianza. Centinaia di visitatori nuovi ogni giorno.

Affrontiamo l’argomento con il nostro amico Davide Gaeta e con il lifeguard Andrea Amore, Responsabile del Servizio di Sorveglianza e Salvataggio di Hydromania, acquapark della Capitale, tra i più noti in Italia.

Ciao Andrea, come è strutturato il ruolo del Responsabile del Servizio di Sorveglianza e Salvataggio di un acquapark?

Questa figura è un team-leader, una sorta di allenatore: coordina i lifeguards assegnando loro le postazioni attraverso un’analisi costante del loro rendimento, vigila e valuta il loro comportamento e li aiuta a sviluppare le competenze necessarie per affrontare al meglio il lavoro.

Prima di arrivare a ricoprire questo ruolo, è stato fondamentale, negli anni precedenti, sviluppare e migliorare le mie capacita operative e comunicative, poiché per imporsi in un gruppo molto numeroso bisogna per prima cosa essere credibili.

Quali sono, in generale, le particolarità del lifeguarding, quando connesso ad un ambiente specifico come l’acquapark?

È un attività altamente specifica: parlare di acquapark non significa parlare di piscine (anche se ovviamente ci sono delle similitudini), bensì di un piccolo mondo con le sue peculiarità.

In generale parliamo di un un’attività in cui la preparazione fisica è poco influente, basta pensare che nelle varie attrazioni le vasche non superano i 120/150 cm di profondità, e un eventuale intervento avviene nel raggio di non più di dieci metri dalla propria postazione.

Al contrario, la capacità di fare sorveglianza assume un valore e un livello di difficoltà notevole!

Migliaia di visitatori ogni giorno, con una percentuale di minori non-nuotatori elevatissima, architettura delle strutture natatorie inusuale e variegata: questi fattori rendono tali ambienti molto insidiosi, e fanno degli addetti al salvataggio del parco dei soccorritori specificamente preparati.

Oltre alla classica (e non chiarissima) normativa vigente in merito alla sorveglianza delle piscine tradizionali (Accordo Stato-Regioni 16.01.2003, ecc), per quanto riguarda gli acquapark esistono delle ulteriori indicazioni (ad esempio prevedere un operatore per ogni attrazione, o qualcosa del genere)?

La confusione normativa delle piscine italiane è cosa nota purtroppo; per quello che riguarda gli acquapark la situazione è ancora più complessa!

Prima dell’inizio della stagione, la struttura viene “ispezionata” da una commissione formata da esperti di più settori, quali approvano l’apertura dell’impianto e le relative condizioni. Per questo motivo non è possibile tracciare un quadro della situazione uniforme per tutti, ogni struttura ha un suo regolamento interno e ne risponde in maniera autonoma.

Bagnanti diversi ogni giorno. 

Carico di entusiasmo extra dovuto a scivoli e giochi acquatici  

Rilassatezza dei genitori dovuta all’ambiente percepito come sicuro e altamente sorvegliato

Necessità di ogni operatore di mantenere sempre la concentrazione altissima 

Il sistema anglo-sassone ha un protocollo molto dettagliato per quanto riguarda la sorveglianza delle piscine. Cosa prevede? Ce ne puoi parlare Davide?

C’è la Regola 10-20, o il continuo turn-over previsto da organizzazioni come l’American Red Cross.

La Regola 10/20 è un protocollo che consiste nel creare una serie di condizioni che portino il lifeguard, durante la sorveglianza della balneazione in piscina, a poter riconoscere una condizione di emergenza in acqua entro 10 secondi dall’inizio della stessa, ed essere capace di raggiungere il “target” entro 20 secondi.

Questo risultato può essere raggiunto mediante strategie che permettano di mantenere alta la soglia di attenzione, come quella di intercambiare le postazioni ogni 5 minuti, di utilizzare una tecnica di scanning e soprattutto di calibrare turni di servizio e di riposo.

Inoltre ciò richiede che le postazioni siano posizionate in modo che tutte le aree della vasca possano essere raggiunte da un lifeguard entro 20 secondi.

In Italia questi parametri non ci sono. Quindi come vi autoregolate, Andrea?

Ti fornisco il mio punto di vista. Per essere efficaci nella sorveglianza bisogna partire dalla teoria:

  • conoscere il tempo ideale entro cui effettuare lo scanning (esplorazione visiva attiva) della vasca in base alle tempistiche dettata dall’annegamento e a come questo si manifesta;

  • conoscere le categorie a rischio e quindi stabilire una “scaletta” di priorità;

  • saper adattare queste nozioni all’architettura delle vasche, individuando le zone di rischio maggiore (scalini, insenature, punti ciechi).

Dopodiché esistono delle tecniche che consentono di mantenere alta l’attenzione, ad esempio cambiare frequentemente postazione, o punto di osservazione, il tutto effettuando ripetutamente delle pause.

In ogni caso sono convinto che queste tecniche vadano utilizzate solo su lifeguard esperti e istruiti. Chi si trova alle prime armi, e vuole specializzarsi in questo ambiente, deve fare ore e ore di sorveglianza, possibilmente dalla stessa postazione, raggiungendo livelli di stress mentale elevati.

Naturalmente il tutto in modo supervisionato e gestito, cosi da ottenere in risposta alle difficoltà un aumento delle capacità di attenzione e quindi di sorveglianza.

Andrea, lo staff-lifeguard, in queste strutture, può essere impiegato anche per altri compiti annessi alla sicurezza (ad esempio intervallare le partenze tra un utente e l’altro agli ingressi degli acquascivoli, controllare i parametri dell’acqua, ecc), o viene utilizzato altro personale?

Nel mio acquapark il regolamento interno prevede che anche gli addetti alle partenze degli scivoli siano lifeguards brevettati, per cui gli addetti al salvataggio si distinguono in due tipologie: addetti alle partenze e addetti alle vasche.

In genere, appena assunti, è in uso iniziare come addetto alle partenze, al fine di assimilare al meglio i regolamenti delle singole attrazioni, per poi approcciarsi alla sorveglianza delle vasche, quale ovviamente richiede più esperienza.

Al di là di queste distinzioni, ogni vasca è sempre coperta da un numero prestabilito di operatori, la sorveglianza non viene mai interrotta e a questi non viene affidata nessuna mansione accessoria che li possa distrarre anche per un solo secondo.

Nelle piscine, e soprattutto negli acquapark, oltre all’annegamento, uno dei rischi maggiori è il trauma: le superfici scivolose, i comportamenti spesso scalmanati, acquascivoli, trampolini ed altre attrazioni generano non di rado episodi tristemente importanti.

Cosa può essere fatto per incrementare la prevenzione di questi incidenti e la qualità dell’intervento di soccorso, quando diventa necessario?

Questo è un argomento molto spinoso.

L’età media dei visitatori di un parco acquatico è relativamente bassa, in particolare la quota di maggioranza è rappresentata da adolescenti, categoria con una ridotta (o alterata) percezione del rischio, per cui il problema esiste eccome.

Di base è fondamentale dotare la struttura di un’efficace segnaletica (cartelli ed indicazioni varie) distribuita in diversi punti, affinché dissuada da comportamenti pericolosi.

Poi è importante che gli addetti al salvataggio comprendano il fatto che vigilare sul comportamento dei bagnanti negli spazi antistanti la vasca é parte attiva del proprio lavoro, per cui ciò va fatto in modo convinto, continuo e soprattutto con un atteggiamento intransigente. Un atteggiamento di questo tipo è la più efficace forma di prevenzione!

Su ciò che riguarda un incidente traumatico avvenuto, e quindi sul successivo intervento, devo ammettere con molto dispiacere che, a mio parere, il panorama delle varie federazioni/società non tratta il tema in modo sufficientemente esaustivo.

Bisognerebbe creare dei percorsi separati e specifici con relative certificazioni (un PHTC specifico) da proporre ai corsisti.

Esistono, a tuo parere, delle strumentazioni che possano in qualche modo incrementare il grado di sicurezza in queste strutture?

Poiché ogni zona è sempre e comunque sorvegliata, e ogni addetto alla sorveglianza è dotato di strumenti professionali (rescue tube, rescue can, pocketmask, ecc .. ), più che ulteriori strumenti innovativi (tipo i rilevatori di caduta), credo che l’arma migliore resti un protocollo di sicurezza (partendo dal Documento di Valutazione del Rischio), studiato e redatto con largo anticipo, che garantisca ai lavoratori di operare al meglio delle proprie possibilità e metta i bagnanti a riparo da qualsiasi forma di pericolo.

Tra gli strumenti integrativi sono un grande sostenitore della cartellonistica, disponendo segnali in quanti più luoghi possibili con descritte le norme di comportamento, al fine di fruire al meglio delle attrazioni e delle piscine (questo soprattutto in questi tempi in cui è necessario integrare ulteriori norme di sicurezza in relazione alla questione pandemica).

Ulteriori strumenti di rafforzamento della sorveglianza possono essere un sistema di videosorveglianza, una sistema di comunicazione tramite walkie talkie ed il posizionamento di lifeguards su seggioloni che garantiscano un punto di vista sopraelevato che permetta una visione più ampia ed una minora rifrazione dei raggi del sole sulla superficie acqua andando a limitare l’effetto specchio.

Una ultima interessante novità è il gancio per salvataggio che permette di aiutare i bagnanti in affanno che si trovano in prossimità del bordo senza doversi buttare in piscina.

Ma su tutto conta il fattore umano: personale qualificato, ben motivato e ben coordinato!

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